sabato 17 febbraio 2018

[recensione] La macchia umana di Philip Roth


La macchia umana di Philip Roth si potrebbe definire "romanzo" ma a mio avviso è riduttivo. 
E' un'immensa carrellata di personaggi veri che l'autore ci mostra uno dopo l'altro con tutte le loro ombre e luci. Le facciate che mostrano per rientrare nell'etichetta di brava persona, quando sono tutt'altro. 

Lo stesso autore ha ideato un piacevole quando geniale stratagemma narrativo che presenta il protagonista attraverso l'occhio di uno scrittore che conosce in tarda età. Sarà lui a scrivere il romanzo "La macchia umana" e racconterà quello che Coleman Silk, il protagonista, gli racconta durante i loro incontri negli anni.

E così, lo scrittore Zucherman ci racconta una vita costruita su una gigantesca bugia (che non svelo per non fare spoiler) che salva Coleman in giovane età e gli permette un'esistenza come lui desiderava, ma superati i settant'anni questa gli si rivolta contro in un modo inaspettato.
Ma lui non rivelerà mai la verità.
E affronterà un processo per razzismo, oltre che le invidie e le "male lingue" della cittadina.
La locandina del film del 2003 con  un incredibile Anthony Hopkins
e una meravigliosa Nicole Kidman.
Nel cast anche Ed Harris, Lester Farely, e Gary Sinise, Nathan Zuckerman (lo scrittore)


Questo è il genio.
Coleman ha mentito una volta soltanto, ma quella menzogna ha segnato tutta la sua vita e rivelarla (per potersi scagionare) sarebbe anche un rinnegare la sua vita.
Insieme alla sua vita, che incontriamo da vedovo, arrivano Faunia una donna marchiata a sua volta da un'esistenza tragica e sempre in fuga dal marito ormai folle di gelosia, Lester.

Tra Faunia e Coleman nasce un'intensa passione, mai vista in un romanzo o film. Lei lo vede come una relazione senza sorprese, lui come una primavera. C'è un frammento che mi è molto piaciuto e Coleman lo dice al suo amico scrittore Nathan. Parafrasandolo, gli spiega che "quando questa cosa ti prende alla mia età, del tutto inattesa e inaspettata, e lei a 35 anni, ti travolge e non c'è scampo. E' più forte che da ragazzi. Io avrei potuto vivere quel che mi resta trascorrendo le mie serate leggendo e diventando un esempio per i più giovani. Ma quella pillola blu..."

E non è la prima volta che Roth fa riferimenti al sesso, siamo infatti in pieno sex gate, 1998; tutta l'America è avida di notizie sul Presidente Bill Clinton, sulla sua stagista Monica Lewinsky e su tutto quel che ha fatto, che hanno fatto. E con tutte le altre donne che si fanno avanti dopo di lei.
Insomma, Roth dice che se addirittura il Presidente si è lasciato andare a una giovane "bocca", o più d'una, chi può criticare Coleman se si è abbandonato ai piaceri della carne con Faunia?

Ma il romanzo non parla di questo, è collaterale.
"La macchia umana" di Roth vuole mostrare l'ipocrisia della cittadina, la facilità con cui cacciano dopo cinquant'anni un uomo ligio al lavoro per una parola sbagliata. Nel romanzo abbiamo "zulù", ma in lingua originale è "spooks" che vuol dire "spettri" anche. In entrambi i casi Coleman accusa tre ragazzi assenti dall'inizio dei corsi e che non ha mai visto di essere degli zulù. Siccome i ragazzi sono di colore, lo accusano di razzismo.
Questo è l'inizio di un'infondata accusa che lo avvierà verso un crescendo di fatti che coinvolgono la cittadina e la sua famiglia.

Un romanzo sulla società, dunque. Sulle bassezze umane, sulle pieghe in ombra delle vite dei perbenisti che sono spesso i primi a nascondere segreti inconfessabili.
Coleman non teme più nulla e va a testa alta.
A Nathan il compito di narrare la sua storia.

Un romanzo che ho amato. Uno stile ricco di dettagli, forse un po' prolisso, non a tutti piace, ma personalmente, dovendo narrare anche vicende altrui, me lo aspettavo. Frasi al vetriolo. Verità dette con crudo cinismo da farti riflettere. Magnifico.

Altamente consigliato!


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